IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello proposto dal difensore di Ardizzone Salvatore e La Rosa Francesco, avverso il provvedimento del g.i.p. presso il tribunale di Reggio Calabria, che, in data 2 ottobre 1996, rigettava la richiesta di revoca della misura cautelare in corso a carico dei due interessati, per decorso dei termini massimi di custodia cautelare a scioglimento della riserva adottata in udienza; Osserva in fatto Ardizzone e La Rosa venivano sottoposti a custodia cautelare in forza di provvedimento emesso dal g.i.p. presso il tribunale di Milano, eseguito il 15 giugno 1994 nei confronti dell'Ardizzone ed il 29 giugno 1994 nei confronti del La Rosa. Nel giugno 1995, gli imputati venivano rinviati a giudizio avanti al tribunale di Milano per associazione mafiosa e detenzione di stupefacenti. Il tribunale, il 15 dicembre 1995, si dichiarava incompetente per territorio, trasmettendo gli atti al tribunale di Palmi, che pero' a sua volta si dichiarava incompetente, disponendo la trasmissione degli atti alla procura distrettuale di Reggio Calabria. Successivamente, in data 26 giugno 1996, ai due veniva rinnovata la misura cautelare con ordinanza del g.i.p. di Reggio Calabria, in applicazione dell'art. 27 c.p.p. Finalmente, gli imputati venivano rinviati a giudizio dal g.i.p. medesimo, il 27 luglio 1996, avanti al tribunale di Palmi. Attualmente, il processo e' pendente in fase predibattimentale. Il 25 settembre 1996, il difensore degli imputati presentava domanda di scarcerazione dei due, per decorso dei termini massimi di custodia cautelare, atteso che dalla data di arresto, nel giugno 1994, alla data della pronuncia del decreto che dispone il giudizio, luglio 1996, erano gia' decorsi piu' di due anni, termine superiore al doppio del termine di fase, da individuare in anni uno, a norma dell'art. 303 lett. a) n. 3) c.p.p. Cio' avrebbe dovuto comportare la scarcerazione dei due imputati, per quanto previsto dall'art. 304/6 c.p.p. Il g.i.p., competente a decidere non essendo stati ancora trasmessi gli atti al giudice del dibattimento, rigettava la richiesta, rilevando che la norma di cui all'art. 304 e' esclusivamente riferita alla fase dibattimentale e che, al contrario, nell'ipotesi di specie - in cui la situazione saliente che si pretendeva maturata con riferimento alla fase anteriore al decreto che dispone il giudizio -, si verteva esclusivamente nell'ambito di applicazione dell'art. 303 c.p.p.; in particolare, con riferimento ai suoi commi due e quattro. Appellava il difensore riproponendo la questione negli esatti termini in cui l'aveva sottoposta all'attenzione del g.i.p. In udienza, il difensore sollevava anche questione di costituzionalita' della norma di cui all'art. 304 c.p.p., come richiesta subordinata al mancato accoglimento del primo motivo di impugnazione. In particolare, il difensore denunciava di illegittimita' costituzionale l'art. 304/6 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 76 Cost., poiche' disciplina limitata al solo caso di sospensione e non estensibile a casi previsti dall'art. 303/2 c.p.p., con conseguente irragionevole disparita' di trattamento delle due situazioni. In diritto La prospettiva da cui muove il difensore appare inesatta, poiche' la fattispecie in esame e' disciplinata dalle norme contenute nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304 c.p.p. Infatti, la vicenda subita dal procedimento e' riconducibile alla previsione di cui all'art. 303/2 c.p.p., che impone l'azzeramento dei termini massimi di custodia cautelare in caso di regressione, per qualunque causa, del procedimento ad un grado od uno stato anteriore. La conseguenza e' che ogni volta il termine di custodia cautelare deve essere computato nuovamente dall'inizio, verificandosi una sua interruzione. L'unico limite insuperabile, malgrado il meccanismo interruttivo detto - il quale puo' anche impedire, di volta in volta, la integrale maturazione del termine massimo di custodia cautelare, proprio perche' deve decorrere ex novo per ciascun evento interruttivo -, rimane il termine complessivo, disciplinato, in via ordinaria, dall'art. 303/4 c.p.p. Stando alle imputazioni mosse agli imputati, che prevedono una pena massima di anni 20 (art. 73 d.P.R. n. 309/90), il termine complessivo di custodia cautelare e' di anni quattro (art. 303/4 lett. b) c.p.p.). Tempo non superato, allo stato, poiche' dal giugno 1994 (data della cattura), ad oggi, sono decorsi poco piu' di due anni. Ogni riferimento all'art. 304 c.p.p., e', percio', inconferente, poiche' disciplina situazioni affatto differenti. Infatti, esso attiene all'istituto della sospensione del termine di custodia cautelare ed ai suoi limiti cronologici. Nel nostro caso, invece, si tratta di un procedimento regredito in fase di indagine preliminare in seguito a dichiarazioni di incompetenza del giudice del dibattimento originariamente adito, senza che sia intervenuta alcuna sospensione dei termini custodiali, e che ora si trova in fase predibattimentale. Percio', le uniche questioni relative alla misura cautelare, possono essere quelle inerenti al superamento dei termini massimi di fase, nonche' di quelli complessivi. Come detto, risultano rispettati entrambi. Sicche', la domanda principale proposta con l'appello e' infondata e la questione di costituzionalita', nei termini in cui e' stata sollevata, e' irrilevante, intendendo colpire direttamente regole che non troverebbero applicazione nel caso concreto (art. 304 c.p.p.). Tuttavia, il tribunale ritiene di dover rilevare d'ufficio la questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma due di detto articolo 303 c.p.p. Il parametro costituzionale che si ritiene violato e' il principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione. Il termine di comparazione da considerare, per la identificazione della situazione omogenea rispetto alla quale si denuncia una irragionevole, perche' ingiustificata, diversita' di trattamento, e' da individuare proprio nella disciplina dell'art. 304/6 c.p.p., che non e' la norma da denunciare d'incostituzionalita', bensi' il termine di raffronto che evidenzia l'irrazionalita' della disciplina sospettata. Infatti, la materia che attiene al verificarsi degli eventi interruttivi del corso dei termini massimi della custodia cautelare (art. 303/2 c.p.p.), presenta una evidente omogeneita' di contenuto e di effetti con quella della sospensione dei termini massimi della misura (art. 304 c.p.p.). Entrambi gli istituti rappresentano degli accidenti che si verificano nel cammino del procedimento, perlopiu' indipendenti dalla volonta' - eventualmente ostruzionistica o defatigatoria - dell'imputato. In particolare, l'istituto della sospensione dei termini, nelle ipotesi di maggior rilievo, e' riferibile al comma 2 dell'art. 304 c.p.p., poiche' e' in queste situazioni che si verifica una protrazione prolungata dei termini di custodia cautelare. Presenta, invece, una consistenza cronologicamente circoscritta nei casi indicati al primo comma dell'art. 304 c.p.p. Quindi, aldila' degli episodi del tutto contingenti e di limitata incidenza temporale sul corso dei termini di custodia cautelare riferibile alle situazioni previste al primo comma, quelle previste al secondo comma dell'art. 304 c.p.p., rappresentano evenienze che incidono sulla custodia cautelare, nel computo dei suoi termini massimi ed anche complessivi. Il medesimo effetto di incidenza sui termini custodiali si produce anche in occasione delle evenienze, parimenti accidentali, descritte dall'art. 303/2 c.p.p., a causa dell'interruzione del termine in corso: ripristino del dies a quo del termine massimo, per ogni evento interruttivo. La omogeneita' degli istituti e' confermata, poi, rammentando che l'attuale disciplina di cui all'art. 304 c.p.p., e' stata novellata dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, la quale ha indicato, come parametro temporale il cui superamento determina la scarcerazione dell'interessato, il doppio del termine massimo della fase in cui si sono verificate le sospensioni. Accanto a tale parametro, il legislatore ha aggiunto quello del termine complessivo di cui all'art. 303/4 c.p.p., che non deve essere superato per piu' della sua meta', in qualunque fase si consideri la posizione dell'interessato, anche diversa da quella in cui si sia verificata la sospensione. Alternativo a tale ultimo parametro, e da preferire al precedente se piu' favorevole, e' quello che indica il termine complessivo non superabile, in caso di sospensione dei termini, nei due terzi della pena massima comminata per il reato per cui si procede o ritenuto in sentenza (art. 304/6 vigente). Nella versione originaria (vecchio art. 304/4 c.p.p.), l'unico parametro temporale di riferimento indicato per contenere la legittimita' delle sospensioni dei termini di custodia cautelare, era un termine complessivo, indicato nei due terzi della pena massima edittale, ora criterio concorrente. Va rilevato che la vecchia disciplina era, sul punto, del tutto omologa a quella relativa ai termini complessivi ordinari previsti dall'art. 303/4 c.p.p. Questi erano stabiliti come limite invalicabile per una legittima carcerazione preventiva, anche in caso di vicende di regresso ad altro stato o grado del procedimento descritte dal comma due dell'art. 303 c.p.p. Un termine complessivo insuperabile - sia pur variabile quantitativamente, perche' determinato secondo una proporzione (due terzi della pena massima) e non in misura fissa come l'altro, ma comunque dello stesso genere di questo -, era preveduto anche per le ipotesi di sospensione di cui all'art. 304 c.p.p. La modifica dell'art. 304 c.p.p., sul punto ha introdotto un contemperamento del vecchio regime, rendendolo piu' duttile e piu' favorevole all'imputato, per l'aggiunta di un parametro vincolato anche al termine massimo di fase e per l'alternativa previsione di due parametri relativi al termine complessivo, in un'ottica di favor libertatis, cui era, del resto, notoriamente ispirata l'intera legge citata. Tuttavia, ha finito per rendere non solo differenziato, ma anche eterogeneo il trattamento delle situazioni regolate dall'art. 303/2 c.p.p., essendo stato mantenuto il solo riferimento al termine complessivo nel comma quattro dell'art. 303/4 c.p.p., rispetto alle situazioni che si son dette sostanzialmente omogenee descritte all'art. 304 c.p.p., i cui limiti di legittimita' sono riferiti ora anche ai termini della fase in corso. Parametro, questo, rimasto estraneo alle prime ipotesi, ma che in concreto, qualora fosse previsto, determinerebbe la scarcerazione indipendentemente da quello riferito al termine complessivo ed anche molto prima della sua maturazione. Sicche', la sostanziale omogeneita' dei due istituti, per contenuto ed effetti - segnalata anche dalla loro disciplina in origine parimenti omogenea, o comunque ragionevolmente differenziata -, denota il carattere ingiustificato della diversita' delle due discipline attualmente vigenti; differenze che si riverberano senz'altro contra reo, per la mancata previsione di un limite riferito anche al termine massimo di fase nell'art. 303/4 c.p.p., in relazione all'art. 303/2 c.p.p. Non si ritiene che, sul tema, possa essere invocata la discrezionalita' del legislatore, per giustificare la diversita' denunziata. Tale potere consente di predisporre una disciplina ragionevolmente differenziata, nell'ambito di regimi tra loro omogenei e non di imporre regole arbitrariamente eterogenee. Sicche', l'unico spazio riconoscibile alla potesta' discrezionale del legislatore potrebbe essere quello di prevedere un limite temporale diverso (inferiore) a quello del doppio del termine massimo di fase. Ma un termine di tale specie avrebbe dovuto essere introdotto, per mantenere l'originaria omogeneita'. Al contrario, ora, non e' dato di riscontrare quella "correlazione tra precetto e scopo che consente di rinvenire nella causa o ragione della disciplina, l'espressione di una libera scelta che soltanto il legislatore e' abilitato a compiere" (Corte costituzionale, sentenza 25-28 marzo 1996. n. 89, in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 14, pag. 27). In questi termini, la questione di costituzionalita' della norma contenuta nell'art. 303/4 c.p.p., in relazione all'art. 303/2 c.p.p., appare non manifestamente infondata, con riferimento al parametro del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. La sua rilevanza appare altresi' evidente, poiche' dal suo accoglimento dipende la scarcerazione dell'imputato per superamento del doppio del termine massimo di custodia cautelare (di anni uno) durante la fase compresa tra l'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare e il decreto che dispone il giudizio. Limite gia' superato, come premesso in fatto, poiche' dal giugno 1994 al luglio 1996, sono decorsi piu' di anni due, termine doppio di quello ordinario di fase.